Mi chiamo Marino Avanzo e da oltre trent’anni ho un lavoro che non considero solo un mestiere, ma una missione: sono un Business Coach e Brainer. Se mi chiedessero di descrivere in poche parole cosa faccio, direi che aiuto le persone e le aziende a scoprire il loro potenziale, a mettere ordine nel caos e a trasformare le idee in azioni. Ma la verità è che il mio lavoro va ben oltre: è fatto di ascolto, intuizioni, domande difficili e, talvolta, di scontri che portano a crescere.

Ogni azienda ha una sua anima

Ogni azienda ha una sua anima, ma ciò che accomuna tutte è che sono fatte di persone. Ed è proprio nelle persone che io vedo il cuore pulsante del mio lavoro. Ho iniziato quasi per caso, senza sapere dove mi avrebbe portato questa strada, ma con la curiosità di chi vuole capire cosa si cela dietro ogni scelta, ogni successo e ogni fallimento.

Ricordo ancora il mio primo cliente. Era un’azienda di famiglia, un piccolo gioiello del settore navale, ma profondamente bloccata da dinamiche interne disfunzionali. Antonio, il titolare, mi accolse nel suo ufficio con uno sguardo misto di scetticismo e speranza. “Ci dicono che sei bravo a rimettere le cose in ordine,” mi disse senza troppi giri di parole. “Ma qui non si tratta solo di numeri. È che non riusciamo più a capirci.”

Quelle parole mi colpirono

Non si trattava di un problema di fatturato, di produzione o di vendite – almeno, non direttamente. Il vero nodo era nei rapporti umani. Fu allora che capii che il coaching non sarebbe stato solo un lavoro di analisi o di strategie, ma di connessioni, di relazioni.

Iniziammo con una riunione di squadra. Dieci persone sedute attorno a un tavolo, ognuna con il proprio bagaglio di idee, frustrazioni e sogni non detti. Mi presentai con semplicità: “Io sono qui per ascoltarvi. Voglio capire cosa funziona e cosa no, ma soprattutto voglio capire cosa vi spinge a fare ciò che fate ogni giorno.”

Le prime reazioni furono di diffidenza. Qualcuno fece battute per stemperare la tensione, altri si limitarono a incrociare le braccia. Ma poi, con il tempo e le domande giuste, il ghiaccio si ruppe. Le conversazioni si fecero più profonde, autentiche. E lì, in quelle dinamiche, cominciai a vedere la mappa delle loro relazioni: chi era il leader silenzioso, chi il ribelle, chi la spina dorsale invisibile dell’intero sistema.

Alla fine di quel percorso, l’azienda non solo si rimise in piedi, ma ritrovò una nuova energia. Non erano cambiate solo le strategie, ma il modo in cui le persone si parlavano, si ascoltavano, si capivano. Fu una lezione importante per me: ogni cambiamento, per essere duraturo, deve partire dalle persone.

In quel momento capii che il Coaching sarebbe diventato il mio modo di vivere il mondo del lavoro. Non avrei mai imposto soluzioni, ma avrei sempre cercato di far emergere il meglio in chi mi trovavo di fronte.

Da quel primo incontro sono passati tanti anni e tanti clienti, ognuno con una storia unica, ognuno con le proprie sfide. Ma quella scintilla iniziale – la scoperta di poter fare la differenza aiutando gli altri a trovare la propria strada – non mi ha mai abbandonato.

Questa è la mia vita da coach

E ogni volta che mi siedo al tavolo con un nuovo cliente, sento la stessa curiosità, la stessa voglia di esplorare. Ogni azienda è un microcosmo, e ogni persona una storia da scoprire. E io non smetterò mai di imparare da entrambe.