Era un pomeriggio d’autunno quando mi trovai di fronte al consiglio direttivo di un gruppo aziendale. L’aria nella sala era densa di tensione, il genere di atmosfera che si respira quando i problemi hanno già superato la soglia di tolleranza. Mi avevano convocato per analizzare una situazione critica: ritardi nelle assistenze, calo delle vendite e, soprattutto, una crescente insoddisfazione tra i dipendenti.

Dopo aver ascoltato i membri del consiglio, iniziai con una domanda semplice ma diretta: “Di chi è la responsabilità di tutto questo?” La sala piombò in un silenzio imbarazzato. Gli sguardi si incrociavano, alcuni cercavano di evitare il mio, mentre altri puntavano apertamente verso il CEO, quasi a voler dire: è colpa sua.

«La responsabilità in azienda», dissi allora, rompendo il silenzio, «non è mai di una singola persona. È un ecosistema, un equilibrio dinamico in cui ogni componente ha un ruolo cruciale. Se qualcosa non funziona, dobbiamo chiederci come ogni ingranaggio del sistema ha contribuito al problema».

Cominciai a illustrare un concetto che avevo sviluppato nei miei oltre trent’anni di esperienza nel business coaching e nell’organizzazione aziendale: il modello della “responsabilità diffusa”. Ogni individuo, dal direttore generale all’ultimo assunto, ha un impatto sull’efficacia e sul successo dell’azienda. Non si tratta solo di eseguire i compiti assegnati, ma di comprendere come le proprie azioni si interconnettano con quelle degli altri.

Raccontai un episodio di un’altra azienda che avevo seguito anni prima. Una squadra di operai aveva segnalato un problema con un macchinario, ma la comunicazione si era persa nei livelli gerarchici. Nessuno si era sentito responsabile di agire tempestivamente, e il risultato era stato un fermo macchina che aveva bloccato la produzione per giorni. In quel caso, la svolta era arrivata quando tutti avevano compreso che la responsabilità non è un peso da scaricare, ma una consapevolezza da condividere.

Alla fine della mia presentazione, proposi un esercizio pratico. Chiesi a ciascuno dei presenti di riflettere su una situazione recente in cui qualcosa era andato storto e di identificare almeno un modo in cui avrebbero potuto contribuire a un risultato diverso. Le risposte furono illuminanti. Chi si era sempre considerato estraneo ai problemi aziendali iniziò a vedere come le proprie azioni, o la loro mancanza, avessero influito sulla catena degli eventi.

Quella giornata si concluse con una nuova energia nella sala. Non avevamo ancora risolto i problemi, ma avevamo fatto il primo, fondamentale passo: comprendere che la responsabilità non è una colpa, ma un’opportunità. Una forza collettiva che, se ben orchestrata, può trasformare le sfide in successi.

È una lezione che porto sempre con me: in azienda, come nella vita, la responsabilità è di tutti. E solo quando ognuno accetta il proprio ruolo all’interno del sistema, è possibile costruire qualcosa di veramente grande.


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